Luglio 18, 2022
Smaltire i rifiuti plastici derivati dal packaging industriale e dal settore agricolo sfruttando le capacità di insetti e lombrichi, ma anche funghi. È lo scopo del progetto RECOVER, finanziato dall’Unione Europea e coordinato dall’Università di Almeria, che coinvolge la Germania, la Spagna, il Belgio, la Gran Bretagna, il Portogallo e l’Italia, rappresentata da un team di ingegneri chimici del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale (DICI) dell’Università di Pisa.
Rifiuti plastici “mangiati” da insetti e lombrichi
Il lavoro di RECOVER parte dalla distinzione delle diverse tipologie di plastiche, da cui individuare quelle più adatte a essere biodegradate. Come spiegato da Patrizia Cinelli, docente del DICI, il riciclo di questi materiali è particolarmente complesso, perché richiede che le diverse tipologie vengano separate. È il caso delle plastiche utilizzate per gli imballaggi alimentari e in agricoltura: esse contengono infatti dei residui, ma vengono differenziate in modo errato.
Il sistema messo a punto dal team italiano, prevede che tali plastiche vengano letteralmente “mangiate” da insetti e lombrichi. Dallo studio delle caratteristiche degli organismi, infatti, è emerso che questi – soprattutto se potenziati con enzimi – sono ampiamente in grado di assorbire la quantità di plastica necessaria. Tra le specie sottoposte ad analisi compaiono il verme rosso californiano, la tarma della cera, quella della farina e il più comune lombrico.
Biofertilizzante dai rifiuti organici
In una seconda fase, il gruppo di ricerca lavorerà alla progettazione di sistemi innovativi capaci di ricavare dallo scheletro degli insetti un polisaccaride azotato, la chitina, da cui produrre chitosano, dalle proprietà altamente antimicrobiche. Così facendo, dai residui organici di insetti e lombrichi si andrà a generare biofertilizzante.
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La volontà è quella di costruire una “catena di smaltimento virtuosa” sfruttando efficienti processi di decomposizione di rifiuti organici che, grazie agli enzimi e ai microorganismi, possano trattare in modo adeguato le “frazioni di plastica e microplastica derivanti dalla produzione e commercializzazione degli alimenti e dalle pratiche agricole, e che arrivano al compostaggio insieme al rifiuto organico”. Così facendo, conclude la Cinelli, si avrà a disposizione “uno strumento in più per limitare la dispersione della plastica nel suolo e nel mare” e i conseguenti danni all’ambiente.
Alessandra Marcelli